C’E’ UN ALBERO
C’è un albero…
Non uno imponente e magnifico, solo un albero sereno e poco più alto del lampione che gli sta a fianco. Se ne sta tranquillo nella sua aiuola, vicino a una panchina di legno su cui si diverte a lasciar cadere alcune foglie in autunno. Per il resto del tempo rimane lì a osservare ciò che lo circonda, a sfidare il suo stesso sguardo puntando ogni giorno più lontano. Può vedere più che altro vetri: grandi pannelli di vetro pesante slanciati verso l’alto per catturare i raggi del sole. Di giorno, oltre i vetri, gli è permesso di vedere ben poco, così per la maggior parte del tempo ci si specchia: alto e slanciato, leggermente sbilenco ma comunque complessivamente di bell’aspetto. Certo può sentire: ascolta spesso il rumore delle automobili, il fruscio della pioggia, le urla dei bambini, le grida del vento, il tintinnio delle chiavi.
Il tintinnio di un grande mazzo di chiavi che arriva di corsa, da dietro. Lo porta con sé una ragazza affannata, si vede il respiro che le esce dalla bocca, ha un bel sorriso e le brillano gli occhi. Ha il portamento delle ballerine esperte, i capelli mossi spesso raccolti, le spalle larghe di chi può accogliere tutti i silenzi della terra. La ragazza entra e sparisce nella pancia del teatro. Sembra una di quelle persone dal nome arioso che gli altri pronunciano in fretta facendo scorrere e vibrare la lingua sul palato e aprendo la bocca in modo vistoso… Non passa molto tempo prima che arrivino altre due ragazze, anche loro di corsa ma che ridono e parlano forte; le si vede spesso intorno al teatro, stanno più che altro nel ventre, ma ogni tanto sbucano dai fianchi, o dal retro, o chiacchierano sulla panchina per un po’. Una ha più capelli che corpo: una grande massa di ricci scuri la sovrasta fino a mezza schiena, ha gli occhi neri e la pelle ambra chiaro, porta sempre con sé un grande borsone ed è quasi sempre avvolta da strane nubi; l’altra ha il viso pulito, porta gli occhiali come le bimbe che a scuola sanno sempre tutto, è leggera anche se molto forte, ha uno sguardo frizzante di chi vede nella nebbia il sentiero. Anche loro due sgambettano veloce e vengono catturate dalla pancia del teatro.
Ma appena cambia il vento una corrente forte fa arrivare una mandria di adolescenti: bellissimi nei loro drammi, rumorosi e pieni di vita. Stanno tutti con un aggeggio in mano a cui sembrano tenere molto: ci parlano, gli sorridono, lo ascoltano, ma anche loro stanno poco vicino ai vetri prima di essere risucchiati all’interno.
D’un tratto, se ci si concentra, si può sentire la musica che viene dal grembo del teatro, si sente appena ma fa venire voglia di muoversi, di respirare, di correre, e riprendere fiato, ma solo un attimo, e di ballare e di chiacchierare, e di sudare e saltare finché le gambe non cedono, e di volare… sembra quasi di vederli i ragazzi e le ragazze che si danno un piccolo slancio e poi prendono il volo e piroettano in aria e sembra che cadano e poi si riprendono e ripartono in picchiata come su un’altalena o come i gorilla tra gli alberi… se si ascolta con attenzione li puoi sentire vibrare forte quando riescono in qualcosa, sussurrarsi i segreti, abbracciarsi, tenersi per mano mentre leggeri si librano in aria.
Il loro tempo nel teatro non dura molto, escono insieme alla ragazza con gli occhiali e si disperdono con lei tutt’intorno.
Ne arrivano altri, sono più piccoli, ridono forte, gridano, fanno parecchio rumore, lasciano veloci la mano dei loro genitori e si fiondano nella pancia del teatro anche loro. Con loro arriva anche un omino che, insieme alla ragazza con le chiavi, deve essere uno dei protettori del teatro o qualcosa di simile insomma, dal momento che sono quasi sempre in teatro e lo puliscono, lo scaldano quando fa freddo, gli fanno prendere aria quando fa troppo caldo e non si riesce a respirare, lo riempiono di cibo, lo montano e lo smontano, lo aggiustano se qualche pezzo si rompe, lo illuminano e lo spengono e lo chiudono bene prima di lasciarlo solo. Anche l’omino è affannato, porta la coppola in testa e uno zaino bello grosso, si chiude la porta dietro e i suoi occhi, per un istante, riflettono il colore del cielo e la luce del sole e il suo sguardo scalda un po’ il cuore; porta gli occhiali anche lui e ha i capelli color cenere come i bimbi biondi quando crescono, ha il passo dei felini: leggero,
silenzioso e molto rapido. C’è silenzio in teatro: i genitori aspettano i propri figli seduti su poltroncine colorate, e la porta della pancia viene chiusa. Eppure se ci si concentra molto a fondo e ci si lascia trasportare si possono sentire chiaramente i bambini che corrono, saltano, mettono le mani a terra e staccano i piedi, camminano in equilibrio più in alto del suolo, fanno cadere delle palline strane, tantissime palline strane, e anche delle clave, le clave fanno molto rumore quando cadono ma si può sentire anche quando riescono a riprenderle in mano, o quando le fanno stare in equilibrio sul naso, altri provano a spiccare il volo: sbattono incerti le ali fidandosi poco di loro stessi, si aggrappano a si spingono e per poco si librano anche loro. E poi non se ne vogliono più andare: i genitori li aspettano trepidanti, guardano spesso l’ora, si sentono saluti ripetuti centinaia di volte da dentro, e piano piano, a poco a poco, si disperdono anche loro. Nel frattempo è arrivata la sera e il teatro si accende nel foyer. Ci sono la ragazza con tanti capelli, la ragazza con le chiavi e l’omino con la coppola che escono dalla pancia e si siedono, come se non lo facessero da tempo, anche loro sulle poltroncine colorate, in un piccolo cerchio. Sono pieni dell’energia sfiancante dei bambini e degli adolescenti. Si siedono per mangiare, scambiare due parole e qualche sorriso, qualche abbraccio, sembrano vecchi amici… ma non stanno molto seduti: riscappano dentro appena arriva l’ondata delle donne. Sono tutte donne che entrano in teatro di corsa inebriate dalla voglia di sfruttare a pieno il loro momento di sogno per correre, saltare, sudare, e volare anche loro nel proprio piccolo pezzo di cielo. Si alternano per ore c’è chi entra e chi esce, chi si ferma in foyer prima di entrare, chi vicino ai vetri poco prima di andarsene. Man mano iniziano a disperdersi anche loro, poche per volta, sole, in coppie, a gruppetti, verso la fine della carovana escono anche le ragazze che parlano forte che ora parlano piano, sono stanche e sudate: devono essersi rintanate per un po’ anche loro sulla propria nuvola, devono aver spinto forte per arrivare al cielo e conquistarsi il loro angolino di allegrezza.
Il teatro si spegne piano piano, alla fine è tutto buio e per ultima esce la ragazza con le chiavi che lo chiude per bene prima di andare a casa. Ha gli occhi più piccoli di quando è entrata, sorride a fatica, è piena di borse e zainetti eppure sembra soddisfatta, si volta un istante a guardare verso l’albero illuminato dal lampione al suo fianco, sbatte piano le palpebre, prende fiato, e va via
Martina Mascia